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TRE LUOGHI SACRI NEL CUORE DEL FURLO CON MARCO TOCCACIELI


Marmitte dei Giganti e Gola del Furlo

Foto di @tmc_photographer da Instagram e ©Stefania Cimarelli


La Provincia di Pesaro e Urbino è ricca di bellezze più o meno nascoste.

Scopriamole attraverso il racconto di Marco Toccacieli, ideatore dell’interessante blog www.ilfederico.com che vi invitiamo a leggere.


Troverete nel suo blog curiosità e luoghi meno conosciuti come ad esempio le Cascatelle del Conca, Montecopiolo, lo spettacolo delle Marmitte dei Giganti appena fuori da Fossombrone, oppure il Borgo di Mombaroccio, dove si incontrano bellezza e storia.


Prima di lasciarvi alla lettura vi ricordiamo che, se deciderete di seguire questo mini itinerario, avrete la possibilità di immergervi tra le pareti rocciose, i prati e i boschi dell’affascinante Gola del Furlo, popolato da specie animali anche rare, con scenari resi unici dal fiume Candigliano.


Tre luoghi di culto per raccontare la Provincia nata delle ceneri dall’antico Ducato d’Urbino, un itinerario capace di soddisfare i gusti più diversi, adatto a chi mette al centro la fede, ma anche a coloro che prediligono un weekend all’insegna della natura, dell’arte o del mistero.


Ecco dove si poseranno oggi i nostri occhi:

  1. Abbazia di San Vincenzo al Furlo (Acqualagna)

  2. Chiesa dei Morti (Urbania)

  3. Oratorio di San Giovanni Battista (Urbino)

Pronto a tuffarti nell’incanto? Allora cominciamo!

Una luce nelle tenebre del Furlo

Il nostro tour inizia da una struttura antichissima, l’Abbazia di San Vincenzo. Immerso nel verde rigoglioso, tipico delle campagne di Acqualagna, questo che fu un monastero fortificato eretto nel VI secolo, si distingue per semplicità e magnificenza. La facciata principale, a capanna, è disadorna come il resto dell’edificio.


All’occhio attento, tuttavia, non sfuggirà un particolare: è il portale, con il suo architrave finemente decorato e il cornicione romano che sorregge, a suggerirci che non ci troviamo dinnanzi ad una semplice chiesetta, bensì al cospetto di un frammento di medioevo di importanza inestimabile.

Abbazia di San Vincenzo al Furlo


Il pavimento che calpesteremo entrando è realizzato con lastroni di pietra, anch’essi risalenti ad epoca romana. Quindici gradini conducono al presbiterio, dove interessanti affreschi quattrocenteschi di scuola umbro-marchigiana attendono di essere scoperti. Proprio sotto il presbiterio se ne sta la parte più suggestiva dell’intero edificio: la cripta.


E’ questo il luogo che ospitò le reliquie del vescovo di Bevagna, quel San Vincenzo al quale l’abbazia deve il nome. Tuttavia è utile segnalare che l’altare-sarcofago è oggi vuoto, anzi lo è da più di un millennio, vale a dire da quando i resti sono stati… venduti.

Stando a quanto riportato nelle cronache dell’epoca, infatti, i monaci locali non mostravano grande zelo né nella gestione finanziaria e neppure nell’ottemperanza delle regole, e il forte introito legato alla cessione delle spoglie andò a risanare un bilancio devastato da spese assolutamente inopportune.


Eppure l’Abbazia di San Vincenzo, fin dalla sua fondazione, si mostrò essere una miniera d’oro (quasi) inesauribile. Perché? Per via della sua ubicazione. L’edificio si trova infatti nei pressi della Gola del Furlo, oggi luogo pacifico e ricco di meraviglie, ma un tempo brulicante di malviventi d’ogni sorta e contraddistinto da una sinistra nomea. E’ tuttavia attraverso la forra che si apre nei pressi del fiume Candigliano che pellegrini e mercanti erano costretti a transitare: la Flaminia rappresentò infatti per secoli l’unica via di collegamento tra Roma e l’importante città di Rimini. I viandanti che si trovavano a oltrepassare indenni la temibile gola, non una minoranza ma poco ci manca, erano ben lieti di unire al loro sospiro di sollievo una cospicua offerta ai più vicini rappresentanti del Creatore, nella fattispecie ai monaci di San Vincenzo.


Visitata l’Abbazia, è d’obbligo percorrere i tre chilometri di Flaminia che attraversano la gola: una passeggiata piuttosto semplice che di sicuro vale la pena non lasciarsi sfuggire, è un immergersi in un capolavoro della natura che rimarrà archiviato nella memoria del visitatore ben più a lungo del termine del percorso. Soprattutto, è risaputo che camminare all’aria aperta stimola l’appetito, e un’altra buona notizia è dietro l’angolo: la zona attorno ad Acqualagna è un vero e proprio paradiso per gli amanti del tartufo! L’offerta è ghiottissima, ma bando alle abbuffate: non c’è tempo per la pennichella, altre meraviglie attendono di essere scoperte.


Il tesoro macabro dell’antica Casteldurante

Fendendo floride campagne, l’auto ci conduce in meno di venti minuti dalle parti dell’antica Casteldurante, vero e proprio gioiello di cittadina: bellissimo Palazzo Ducale, così come lo sono il Barco e la poco conosciuta chiesa di Santa Caterina. Ci sarebbe da perdersi in tanta meraviglia, ma l’orologio corre e la chiesa dei Morti è luogo, seppur macabro, davvero curiosissimo. Non vorremo farlo attendere, vero?

L’anno di fondazione della piccola cappella è il 1380, ma fu solo cinque secoli più tardi che questa balzò agli onori della cronaca e prese a chiamarsi chiesa dei Morti. Il perché è presto detto: nei primi anni del ‘800 nuove norme sanitarie stabilirono che i cimiteri dovessero essere edificati fuori dalle città e che le spoglie dei defunti precedentemente sepolti entro suolo ecclesiastico fossero trasferite nelle nuove strutture. Ci pensarono l’insolito clima durantino e una muffa del tutto particolare presente nel terreno a giocare un tiro davvero mancino agli addetti alla riesumazione. Questi, infatti, labbra schiuse di stupore e attrezzi pendenti in mano, trovarono diciotto corpi vecchi di secoli eppure perfettamente conservati, alcuni con addirittura orecchie, unghie, pelle e capelli.


È dal 1833 che le spoglie dei dodici uomini e delle sei donne trovano ospitalità presso la chiesetta urbaniese e, grazie a rigorosi studi, ogni mummia ha oggi la sua storia da raccontare: c’è il ragazzo investito d un carro, quello pugnalato ad un ballo, la donna morta di parto e il sepolto vivo… ma certo né la voce né la scrittura si possono sostituire agli occhi: le parole buone per descrivere cosa si prova in questo inusuale faccia a faccia con la morte, semplicemente, non esistono. E allora una visita è d’obbligo.


Il Rinascimento prima del Rinascimento, i fratelli Salimbeni ad Urbino

Conosciuto sì, ma non quanto meriterebbe, l’Oratorio urbinate di San Giovanni è schiacciato dalla fama di un palazzo simbolo di un’epoca: Palazzo Ducale. Eppure il ciclo di affreschi realizzato da Jacopo e Lorenzo Salimbeni è opera che spezza il fiato, oltre che rappresentare il punto esatto dove arte medioevale e rinascimentale trovano congiunzione. Ma non basta, il lavoro dei due maestri di San Severino (datato 1416) è testimone di una vocazione alla cultura, da parte della città ducale, antecedente alla venuta del grande Federico da Montefeltro.


Come un dolce squisito avvolto in un’anonima carta di giornale, l’esterno del luogo di culto non lascia trapelare nulla della meraviglia in cui il visitatore s’immergerà varcando la soglia.


È una Crocifissione di notevoli dimensioni e dai toni drammatici quella che per prima cattura l’occhio. Drammatica perché vera, il dolore riconoscibile nei visi degli angeli che svolazzano attorno al corpo del Cristo come uccelli inquieti, nell’urlo straziante della Maddalena, nella pietà e nella disperazione che trapelano dalle espressioni di alcuni personaggi (e qui, nell’indagare l’animo umano, sta l’intuizione dei Salimbeni, intuizione che si è soliti attribuire al più recente Leonardo) si mescolano all’indifferenza e a scene di vita quotidiana, come quella del bimbo che fa i dispetti o della madre che afferra il suo fanciullo appena prima che venga colpito dal calcio sferrato da un cavallo. Non siamo al cospetto di un’immagine statica, ma dinnanzi ad una scena vivissima che si sta consumando proprio mentre noi osserviamo. Sulla parete di destra trova invece spazio il racconto per immagini della vita del protomartire al quale il luogo di culto è dedicato. Qui i toni si fanno più pacati, ma lo studio che sta a monte dell’opera e la ricerca del bello hanno davvero dell’incredibile.


Oratorio San Giovanni Battista a Urbino


Per concludere...

I tre luoghi citati devono essere intesi unicamente come uno spunto per visitare questo piccolo angolo di mondo; sono, lo confesso, poco più di una scusa che invita ad un tuffo nell’arte, nella storia, nella natura dell’Antico Ducato d’Urbino.


Per vedere l'articolo completo clicca qui o vai su #destinazionemarche blog (www.destinazionemarche.it)



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